Sapore di te

Sapore di teForte dei Marmi, 1983: un gruppo di adulti e di adolescenti intreccia relazioni amicali o sentimental-amicali, vere o presunte; o semplicemente tromba-amicali.
Ci si rincontra 30 anni dopo. I Vanzina, Carlo regista-sceneggiatore ed Enrico sceneggiatore, giusto trent’anni fa, hanno inventato il genere-definizione del film-panettone, ovvero con gli incassi sicuri, basati su due o più comici, in ambientazioni esotico-turistiche, con situazioni tra la pochade e la commedia di costume.
Poi a loro è subentrato il più solido, anche se meno fantasioso, Neri Parenti, in coppia con De Sica e il produttore De Laurentiis. Tuttavia i Vanzina, pur senza blasonarli dell’alloro autorale, hanno mostrato più d’una volta talento cinematografico e finezza di scrittura.
Non casualmente, il film che dà inizio “ufficiale”, in base al quale si sono festeggiati  i 30 anni, al cine-panettonismo è il loro “Vacanze di Natale” (‘83): uno spaccato attendibile della società del tempo, nello stesso tempo aspirante ricca, cialtrona, ma ricca di energia. Che era comunque ben girato, coi ritmi giusti tra commedia psicologica  e farsa: in cui non mancano echi, rivisitati con intelligenza, della Commedia all’Italiana; di cui loro, anche in dichiarazioni recenti, si ritengono tra gli eredi.
Ed è vero che, essendo figli di Stefano Vanzina, in arte Steno, che oggi si sta rivalutando come regista, hanno avuto modo di conoscere da vicino, anche nella loro formazione professionale “sul campo”, i Maestri di questa.
Nel film odierno hanno dato prova di saper trasferire, pur in un ambito di commedia,  un sentimento che è apparso già in qualche altro loro film: la malinconia.
E non mi riferisco alla sensazione del “vecchione”(Svevo) che guarda invidioso e concupiscente i giovani, le loro “carni fresche” e pensa ai tempi andati, contemplando impotente le proprie cascaggini fisiche; bensì al sentimento più sottile, meno appariscente, ma più sofferto e pervasivo dell’amore mancato.
Che a distanza di trenta e più anni ritorna prepotentemente, alla memoria del cuore: è stato un qualcosa che non si è saputo coltivare, per paura, pigrizia, sfiducia. Ma che invece è sempre rimasto in quel luogo dell’anima, più o meno sospeso e occultato, anche se temporalmente sfalsato.
E lo sguardo dei “trent’anni dopo” tra Luca e Rossella, così intenso e accorato, oltre a darci il senso di una eccellente direzione degli attori, è il punto finale, “costruito” sull’intero corso del film,  che lo chiude con sensibilità e qualità.
Da notare che nella parte degli anni ‘80, tranne quell’accenno rapido e parodistico al craxismo svettante e del potere che, come oggi del resto, deve palesarsi come tale nella sfera del sesso asservito, non c’è la minima traccia di conflittualità politica e sociale; e così anche nell’oggi.
A parte che è una cifra assente nel loro cinema; c’è da considerare che i Vanzina hanno presente una società che “prescinde” dalla politica, in cui ripongono ben poca fiducia.
E comunque il film mostra equilibrio e ritmo; nonché un azzeccato dosaggio tra le varie componentiteatrali, come i “siparietti” di V. Salemme, e degli altri scafati attori (Mattioli; Pasotti; Brilli ecc.)

Francesco “Ciccio” Capozzi