Essere disinvolti, felici, senza pensieri, divertirsi.
Gioco e sport appartengono alla vita e allo sviluppo psico fisico della personalità.
Lo sport irrobustisce il fisico, aiuta la vita di relazione, s’impara a vivere con disciplina.
Il gioco, oltre ad essere una forma di creatività, di autonomia, per bimbi e giovani è pure un passatempo per i grandi, i quali trovavano in esso fratellanza, sfida goliardica, divertimento e un buon motivo per rilassarsi.
Purtroppo oggi gioco e sport sono manipolati dal mercato, usati dai mass-media a fini pubblicitari e sono un veleno per le persone fragili che finiscono per diventare “dipendenti”.
Gli antichi organizzavano giochi di quartiere, di città. Le stesse Olimpiadi sono nate in Grecia, per far emergere gli atleti più preparati più dotati e divertire il popolo.
I premi erano semplici: era più la soddisfazione di partecipare di vincere, di sentirsi forti e acclamati che quella di ricevere il giusto premio.
Con il tempo anche il gioco ha subito la corruzione degli uomini. Al tempo dei romani il divertimento stava nell’assistere in arena alle lotte tra gladiatori, alle corse delle bighe, ecc. Già allora si scommetteva sulla vita e sulla morte dei contendenti.
Nel medioevo si giocavano le sfide fra cavalieri: “lancia in resta”, si scontravano con i cavalli lanciati alla massima velocità, per sbalzare l’avversario da sella: era un gioco molto pericoloso che però faceva prevalere il più dotato, il più forte.
I dadi poi sono sempre stati una proprietà del gioco. Su di essi si puntavano, allora come oggi, forti cifre in denaro. Spesso grandi patrimoni passavano di mano provocando la rovina di grandi famiglie, per non dire dei suicidi a cui venivano portati i perdenti.
La roulette, nata in Italia e poi trasferita in Francia nel XVIII secolo, era ed è a tutt’oggi uno dei giochi d’azzardo più conosciuti nel mondo, dove vince sempre il banco, raramente il giocatore.
Nei tempi moderni sono nate le carte da gioco che, oltre a fare passare il tempo a milioni di persone, hanno dato adito a scommesse, a poste in gioco di cifre anche notevoli.
La schiavitù determinata dal gioco d’azzardo causa gravi danni economici, morali distruggendo le famiglie. come ben si sa.
Anche lo Stato, avido e in cerca di incassi facili, ha voluto entrare nel gioco dei giochi. Oltre a tasse e gabelle, i nostri cari politici hanno voluto svilire anche il gioco, facendo partecipare direttamente lo Stato allo sfruttamento sistematico dei cittadini psicologicamente più deboli, più esposti, creduloni.
Non si è accontentato della schedina 1-2 – x sulla quale si giocava la partita del mito della domenica, no: per introitare di più ha voluto inventare, ha fatto studiare a matematici, a professori, nuovi giochi, nuove modalità di sfruttamento del popolo.
Oggi con gli attuali sistemi multimediali, un cospicuo numero di giocate si possono fare in tutte le tabaccherie del paese. Con il continuo aumento di macchinette mangia-soldi poste nei bar, nelle sale giochi autorizzate, le multinazionali del malaffare in combutta con lo Stato sfruttano sempre di più la già povera gente, illudendola con vincite impossibili.
Uno Stato che cerca di aumentare le proprie entrate con lo sfruttamento schiavistico dei psicolabili cittadini, portati ora per la crisi alla fame, non merita di essere considerato tale!
È d’obbligo che una nuova e più sana classe politica vada a dirigere la nave Italia.
È d’obbligo cambiare il sistema di spartizione della torta derivata dagli introiti del gioco.
Dopo aver considerato un prelievo equo sulle giocate, tolte le spese vive di gestione, quanto rimane della torta dovrebbe assolutamente essere suddiviso in vincite eque e ridistribuito fra i giocatori senza ulteriori tasse, così si ridà un po’ di fiducia e sollievo e di dignità al popolo giocatore.
Le macchinette mangiasoldi andrebbero poi assolutamente eliminate.
Lo Stato e sopratutto i governanti, che ricevono emolumenti e regalie dai produttori di questi infernali sistemi di gioco, debbono rinunciare a quei soldi carpiti alla povera gente in un modo così sordido.
Così la penso io.
Gilberto Frigo, l’uomo del Nord