L’alchimia emerge tra le maglie del tempo come una chimera, una fata Morgana dal volto diafano tra forme e alambicchi, tra geroglifici dell’antico Egitto e scienza segreta dell’arte reale, cara a monaci, kabalisti, fisici e chimici, filosofi medievalisti e rinascimentali.
Anche il loro linguaggio, l’argot, era segreto, un crocevia tra chimica, magia, filosofia, matematica, esoterismo.
Gli adepti, tra alambicchi, storte, provette, mortai, fornelli, forni o Athanor, vapori, gas, umori, manoscritti in pergamena in varie lingue, grimori o libri d’incantesimi, trattati, tomi preziosi, codici per spagiria o rimedi naturali, simboli di animali fantastici, oltre a quelli di corvi, colombe, leoni, aquile,serpenti, draghi, la gloriosa Fenice, il mercurio, il carro dell’antimonio, sostanze volatili venefiche, sulfuree, tossiche, per arrivare ai vari livelli dell’alchimia da laboratorio e quella spirituale, l’opera al nero, il nigredo, il corvo o putrefazione, l’opera incandescente al rubedo o rosso e via via fino alla purificazione dell’albedo o bianco, la colomba o piccola opera.
Seguendo le due vie della ricerca, la secca e la umida, si giunse alla grande opera l’oro o oro potabile, il sole degli alchimisti, all’elisir bianco poi elisir rosso e infine alla pietra filosofale attraverso 5 fasi alchemiche con crogioli, alambicchi, sopra gli athanor dei laboratori, partendo dalla terra nera d’Egitto alla filosofia alchemica dei saggi arabi che importarono nell’Europa medioevale.
L’arabista inglese del XII secolo Roberto di Chester – in latino Robertus Castrense – nel febbraio del 1144 tradusse il testo dell’arabo Khadire, che riportava gli insegnamenti di Khalid ibn Yazid ibn Moavia da Damasco, primo maestro alchemico, e di Geber Jabir, maestro dei maestri dell’VIII secolo.
Quindi fra’ Elia da Cortona nel 1219 introdusse l’alchimia nei conventi francescani, all’ombra dei chiostri, bliblioteche e scriptorium.
Subito dopo il grande traduttore dall’arabo Gherardo da Cremona, il padre francescano Robert Grosshead o Grossatesta da Oxford e il suo allievo Roger Bacon morto misteriosamente nel 1292 e un altro suo allievo, il frate catalano Arnaldo da Villanova, che ebbe a sua volta come allievi lo spagnolo Raimondo Lullo e il francese Giovanni da Rupescissa, cominciarono a diffondere l’alchimia anche tra monaci benedettini e i circestensi di Cluny, cari a san Bernardo di Chiaravalle.
Il frate Vincenzo di Beauvais l’introdusse invece tra i monaci domenicani; il suo allievo il domenicano Alberto di Bollstaedt o Alberto Magno, seguendo i precetti di san Domenico, pure innamorato dell’alchimia ebbe a sua voltacome discepolo il filosofo san Tommaso d’Aquino alla basilica di san Domenico Maggiore di Napoli.
L’alchimia si diffuse talmente negli ordini religiosi tanto che nel 1317 papa Giovanni XXII ne vietò la pratica.
Nel secolo XIV il rinascimentale Basilio Valentino da Erfurt introdusse l’alchimia nella filosofia ermetica più sublime.
Anche l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo nel 1585 fece di Praga la capitale della magia, dell’astrologia, della negromanzia e dell’alchimia, della cabala, invitandovi gli inglesi John Dee e l’amico Edward Kelly.
A Firenze questo compito toccò al granduca Francesco de’ Medici e all’alchimista italiano Guglielmo Grataroli, Raimondo Lullo, Michael Maier, Paracelso il grande
A Strasburgo dal 1616 al 1629 trionfarono i Rosacroce e i loro cenacoli ermetici con laboratori alchemici, tra Germania, Austria, Olanda, Belgio, Svizzera; nel 1624 in Francia e in Gran Bretagna nel 1664.
A Roma la grande colonia alchemica gravitava intorno l salotto della regina Cristina di Svezia, con il marchese Santinelli, Giuseppe Borri l’alchimista, che fu la reincarnazione precedente di Cagliostro, il marchese di Palombara.
Attrverso la porta alchemica di Roma passarono figure famose in tutt’Europa come Lascaris, il presidente d’Espagnet, il polacco Sendigovius e Ireneo Filatete, per non dimenticare la Schola napolitana kabbalista e alchemica di Napoli con Antonio Beccadelli detto il Panormita, Tommaso Campanella e il grande filosofo Giordano Bruno da Nola.
Nel ‘700 dei lumi principi e cardinali, monaci, speziali e orafi, tutti inseguirono l’alchimia, dal conte di Saint Germain a lord Herdenesse, Cagliostro e il suo maestro Altotas, o il cavalier Luigi d’Aquino, il nobile napoletano Ferdinando de Sangro e il suo avo il principe Raimondo.
Raimondo aveva il suo famoso laboratorio alchemico con due athanor sotto palazzo Sansevero dal 1737 al 1751; poi venne trasferito in via Salvator Rosa, dove realizzò la pietra filosofale, seguendo i dettami del Libro Egizio dei Morti nel VII grado o livello Osirideo …
Nella sua opera venne assistito dal barone Tschudy e dall’ingegnere Piccinini; l’ultimo seguace di Raimondo de Sangro fu Pasquale de Servis; poi l’eredità fu raccolta dall’avvocato e filosofo Giustiniano Lebano e poi ancora dal conte Antonio d’Aquino …
Nel 1896 in Francia l’alchimista Jollivet Castelliot fondò la Società Alchemica con Rosicruciani, Teosofi, Martinisti, Kabbalisti, Gnostici, Massoni egizi francesi; la società aveva una sua rivista, Hyperchimie, che dal 1904 cambiò il nome di Novelli Orizzonti della scienza e del pensiero.
La scuola della Società Alchemica generò anche un ramo spagnolo a Barcellona; la sezione era la Raimondo Lullo, diretta da Antonio de Paula; terninò l’attività nel 1934.
La Società Alchemica ebbe come illustri membri Pierre Dujols de Valois, Sedir e Marco Haven, Grillot de Givry e Schure; intanto la rivista nel 1920 prese il nuovo nome di La Rose Croix.
La Società Alchemica di Parigi nel 1934 aderì alla Federazione dei Rosicruciani e Martinisti francesi con quella americana dell’Amorc creando la Fudosi International che ebbe vita fino al 1951.
Il 15 giugno 1926 venne pubblicato a Parigi il libro Il mistero delle cattedrali, a firma di un misterioso Fulcanelli, presunta reincarnazione di Saint Germain, con prefazione del suo allievo l’alchimista Eugène Canseliet; in realtà autore del libro era il francese René Schwaller; le illustrazioni erano del pittore francese Hubert Champagne.
Nel 1930 uscì un altro libro, Le dimore filosofali, sempre a firma di Fulcanelli; e Canseliet disse il vero autore era il pittore Champagne, ma quello vero era Schwaller, che poi si ritirò a studiare in Egitto, da dove rientrò nel 1952.
Schwaller aveva ottenuto la pietra filosofale a Parigi nel 1922; quando morì ne 1961, Canseliet raccolse il nome di Fulcanelli in forma ereditaria.
Il gruppo napoletano Cenacolo Rosacruciano Phoenix nel 1986 ebbe contatti epistolari diretti e da vicino con Juan Garcia Fontana di Madrid, martinista, rosacruciano, studioso di alchimia, che nel 1980 aveva risvegliato la sezione spagnola Raimondo Lullo, sezione dell’antica Società Alchemica di Francia finita nel 1940 e che aveva ripreso anche i contatti ufficiali con gli alchimisti francesi diretti da Canseliet nel 1981.
Garcia Fontana nell’agosto 1986 venne a Napoli per visitare Cappella Sansevero e gli scavi archeologici di Cuma.
Scomparso anche Nicola Ariano, il Cenacolo Phoenix strinse rapporti anche con gli alchimisti Lucarelli di Milano e Aromatico di Pesaro Urbino, fondando con altri pochi alchimisti di Napoli il laboratorio alchemico di Pozzuoli nel 1993, quello di Roma il 7 dicembre 1997, con allievi romani e di Frascati, e quello di Napoli il 7 gennaio 2002.
Fu anche vicino al gruppo di studi Spagirico di Berlino; il Cenacolo Phoenix intanto era divenuto gruppo teosofico e delegazione di studi gnostici, unendosi alla nuova dirigenza della Raimondo Lullo di Barcellona e a quella francese di Calais.
L’opera reale è compiuta all’ombra dell’athanor naturale, il Vesuvio, nel v.i.t.r.i.o.l. della Napoli sotterranea …
Michele Di Iorio