ROMA – Sarà presentato in anteprima martedì 18 febbraio alla Casa del Cinema Solving, il nuovo docufilm del regista porticese Giovanni Mazzitelli, reduce dal successo di Vitriol, di cui ha scritto la sceneggiatura.
In uscita nelle sale il 20 febbraio, il film segue la crisi imprenditoriale che affligge il nostro paese, “pedinando”, per usare una celebre espressione zavattiniana, la realtà dell’industria, del piccolo e medio imprenditore, dell’artigiano e dell’operaio, fino ad analizzare il drammatico caso dell’elevato aumento del tasso di suicidi, raccontato in presa diretta.
Lo Speaker ha incontrato Giovanni Mazzitelli per parlare della genesi del film e della sua complessa lavorazione nonché dell’ evoluzione personale del regista, approdato recentemente al nuovo linguaggio del cinema “dal vero”.
Qual è l’idea che sta alla base di Solving?
In realtà ho sempre voluto realizzare un film sull’imprenditoria, perché dagli anni Sessanta in poi, cinematograficamente, a parte casi specifici – cita Il caso Mattei – non si è mai parlato dell’impresa e della figura dell’imprenditore. Il nostro Paese è portato avanti da una casta, a livello economico: la casta dei piccoli e medi imprenditori. Di queste piccole e medie imprese non si è mai parlato, ed in questo momento in cui il nostro Paese attraversa una crisi molto forte sarebbe interessante parlarne. Ho avuto la fortuna di lavorare per due anni insieme ad un imprenditore, che tra l’altro ha prodotto questo film (Salvatore Mignano, ndr). Lui mi ha portato per tutta Italia ed è stato possibile ottenere un ingentissimo materiale, adatto a comprendere le ragioni profonde dell’attuale e drammatica situazione italiana. Contemporaneamente l’aumento esorbitante dei suicidi imprenditoriali mi ha spinto ad unire le cose e a trattare il tema da un’unica prospettiva.
Dalla fiction all’attualità: quali sono le motivazioni di questa evoluzione?
Sono sempre stato attratto dall’attualità. Ad un certo punto mi sono reso conto che tutto quello che avevo fatto finora era artefatto. È stato a quel punto che ho sentito il fascino della realtà. Si è trattato di un cambiamento personale, un inatteso incontro- scontro con la realtà, con la vita. Nell’andare in cerca di quello che volevo raccontare ho scoperto un nuovo linguaggio.
Non c’è cosa più difficile che rendere verosimile la finzione. Quando invece prendi dalla realtà, modelli dopo perché la realtà ti dà già tutto un modo d’essere che ha una fascinazione, una narrativa molto interessante e che tu puoi riportare, al di là della qualità dell’immagine, del suono.
Quando ho presentato Solving il 24 ottobre al Festival delle Quattro Giornate di Napoli al Cinema Astra, presso il quale è stato accolto positivamente, ho attraversato un forte momento di crisi. Percepivo quanto fossi cambiato, e quanto poco riuscissi a gestire questo passaggio.
Era come se tutto quello che avessi fatto fino a quel momento perdesse ai miei occhi di credibilità. Era il classico passaggio da crisalide a farfalla, dove il mio vecchio cinema mi sembrava fondato su un castello di sabbia. Un’evoluzione diversa di quello che ho avuto a ventidue anni che è stata solamente tecnica, linguistica. Questa è stata completa.
Quando è iniziata e come si è sviluppata la lavorazione del film?
Ho iniziato a pensarci nel 2011, ho scoperto facendo delle riprese con Salvatore, che mi piaceva moltissimo riprendere tutto quello che si prestava alla macchina da presa spontaneamente. Dopo il dramma Campaniello, abbiamo iniziato le riprese a giugno/luglio del 2012, che abbiamo ultimano l’anno scorso ad aprile/maggio. Durante la lavorazione, erano gli stessi imprenditori a guidarmi nel mio lavoro. Per questo io dico che è stato un lavoro generato, continuamente arricchito dall’esperienza personale del cast coinvolto.
Confrontandomi con la realtà dell’industria dal vivo, ho ricavato alcune informazioni fondamentali sulla crisi attuale. Sono due anni che la nazione presenta un pil di ripresa, profetizzando la fine della crisi nel 2013, in netta contraddizione con la concreta situazione di 4218 imprese che hanno chiuso a fine anno. La crisi dovrebbe “finire”, per una questione di storicità, più o meno, nel 2017.
La crisi parte dalla grande industria che la percepisce a causa del crollo di richieste, di acquisti e di finanziamenti da parte delle banche. In un secondo momento la crisi passa poi per il medio imprenditore ed infine colpisce noi consumatori. Mentre la Fiat, e la MacPhone, solo per citarne alcune delle maggiori, hanno terminato la crisi, noi ci siamo dentro fino al collo. Nel 2014 la crisi è finita, non per noi ma per le grandi imprese.
Perché ci dicono che la crisi è finita? Da questo spunto è nata l’idea su cui si basa il mio film che parla anche del precariato e della situazione giovanile.
Crisi e precariato, suicidio imprenditoriale. Ma c’è, al di là di tutto, un messaggio positivo che possiamo trarre dal film?
È una crisi che ci ha distrutto. Siamo noi siamo la generazione dei senza reddito, dei senza futuro, dei senza previdenza. In più si è irrigidita la forbice che ti permette di trovare lavoro. Ormai abbandoniamo il Paese con la speranza di poter fare all’estero quelle professioni che prima avrebbero dovuto essere solo delle provvisorie alternative.
C’è qualcosa che mi ha colpito, però, ed è la costatazione che da parte degli imprenditori con cui ho lavorato, nonostante tutti i problemi in cui possano incorrere, l’indebitamento, la situazione finanziaria altalenante, niente possa mai dirsi perduto.
Ho visto una speranza, un’application quotidiana, quasi una missione da portare a termine che fa parte dell’interiorità dell’imprenditore. Se sei un imprenditore hai questa caratteristica: l’irriducibilità, la testardaggine. Ed è questa speranza, questo non perdersi mai d’animo, il vero messaggio del film.
Quando lo vedremo nelle sale?
Il film è uscito in anteprima il 18 febbraio alla Casa del Cinema di Roma. A Napoli girerò nelle sale di alcuni cinema per presentare il film e prendere parte ai dibattiti.
Francesca Mancini