Carlo III di Borbone: è il 4 novembre 1737, giorno del suo compleanno. Il re si svegliò presto per andare a caccia.
Al ritorno, fatta colazione e sbrigati gli Affari di Stato, firmati i decreti posti alla sua attenzione dal ministro toscano Bernardo Tanucci, scortato da 150 guardie del corpo, raggiunse il nuovo Teatro di San Carlo, che era sorto al posto di quello vecchio di San Bartolomeo e doveva essere inaugurato proprio quella sera.
In una capitale come Napoli, 340mila abitanti, sorgeva il primo Lirico d’Europa. In pochi anni oltre al San Carlo furono inaugurati in seguito altri teatri: 1738 il San Carlino, poi quello dei Fiorentini nel 1773; nel 1778 quello del Fondo detto poi Mercadante.
La costruzione del nuovo teatro era iniziata dal marzo di quell’anno; terminato in ottobre, aveva usufruito della mano d’opera di galeotti, guidati dai soldati del Genio militare, diretti dal brigadiere generale don Giovanni Medrano, coadiuvato dall’impresario Angelo Carasale.
Tutt’intorno erano state abbattute vecchie case e il vecchio teatro, le strade appianate, creando la locazione adatta all’edificazione di quello che sarebbe diventato il favoloso San Carlo.
Gli interni furono ricoperti di specchi e cristalli, tappeti e colonne, di stucchi e di statue; ormai si attendeva solo il genetliaco del giovane re per inaugurarlo.
Il popolo accorse a guardare l’arrivo degli invitati, protetti da 500 guardie urbane e dai gendarmi a cavallo, con torce accese sul percorso obbligato per arrivare all’ingresso del teatro da via Largo del Castello, oggi piazza municipio e piazza Castello, chiesa di San Francesco, strada di Chiaia, largo di via Nardones, grottone di San Francesco di Paola e Santa Lucia.
Il traffico veicolare venne scrupolosamente controllato: cocchieri, lacchè e staffieri dovevano stare molto attenti alle precedenze, a non scontrarsi con altri veicoli multe a chi lasciava cavalli, asini o muli in divieto di sosta, lasciate nella borsa col cibo appesa al collo degli animali e, in caso di fermate in luoghi di massima viabilità, addirittura oltre alle multe venivano confiscati animale e veicoli; in qualche caso i trasgressori ebbero fino a due anni di carcere.
Al teatro erano proibiti gli ingressi ai domestici anche se reali e vietate le richieste di bis e gli applausi se non comandate dal re; l’entrata della platea era presidiata da guardie reali, come pure ai lati del palcoscenico, per impedire agli ammiratori troppo focosi di salire sul palco.
Personalità e belle donne accompagnate da gentiluomini e ufficiali della guarnigione sfoggiavano le acconciature parigine all’ultimo grido come l’Amadigi, piena di riccioli, la Moschetta, le Passionali, quelle dette galanti e dell’assassina; di rigore il neo all‘angolo della bocca, perle nei capelli, al collo nudo e un filetto sullo stretto corpetto. Gli abiti elegantissimi davano una nota di colore all’insieme con le loro sete colorate, grandi ventagli spagnoleggianti.
Il popolo occhieggiava le parrucche incipriate dei nobili e degli ufficiali, sfavillanti nelle loro giamberghe viola con bordi rossi e pettorali d’oro, i schako, il tricorno da gran gala.
Erano le 19,45 quando gi spettatori dei palchi e del loggione zittirono di colpo: fece l’ingresso in platea Sua Maestà Carlo, accolto dalle note dell’Inno Reale del primo cembalo e dal saluto dei militari sull’attenti. Alla fine del rispettoso silenzio, dopo l’Inno scrosciò un uragano di applausi e di Viv’o Rre.
Il re si compiacque con l’impresario Carasale, toccandogli sorridente la spalla con una mano.
Il teatro era coronato da 6 ordini di 32 palchi con ricche dorature; il quarto era ornato di bassorilievi con geni e raffigurazioni della tragedia, commedia, musica e danza. Ogni palco era illuminato da candele davanti ad uno specchio; a secondo della importanza della nobiltà venivano accese tre candele per i duchi, due per conti e marchesi, una per baroni, patrizi e nobili e principi. Si diffuse così il famoso detto popolare Vattenne, ca sì signore ‘e uno cannelotto, ad indicare persona poco importante.
Il teatro era a semicerchio con due linee convergenti di palchi verso il palcoscenico, una platea lunga 94 palmi napoletani e larga 96, mentre il soffitto recava un affresco centrale di Apollo che presenta a Minerva i poeti. Ogni palco costava 760 ducati.
Il palco reale troneggiava nel mezzo del primo ordine, contornato da quelli dei nobili più influenti o più vicini alla famiglia Borbone.
Il parterre quella sera fu prestigiosissimo: ma cantanti e attori famosi, notabili e tanta tanta nobiltà.
L’intero teatro era costato 241mila ducati per un lavoro durato 260 giorni; in seguito l’impresario Carasale, sospettato di aver lucrato sulla realizzazione, finì sotto processo e quindi condannato nel 1741 a tre anni da scontare nel forte di Sant’Elmo.
Alle 20 precise iniziò lo spettacolo, l’opera Achille in Sciro su versi del Metastasio e musica di Domenico Farro, famoso autore di 20 opere e di alcune cantate tra cui L’Opera d’Amore, un melodramma sacro scritto per l’Arciconfraternita dei Pellegrini. L’opera presentata fu scelta su consiglio di don Erasmo Sanseverino Ulloa, uditore dell’Esercito e direttore di spettacoli teatrali per Napoli; venne intervallata da due balletti: uno su zingari e marinai e il secondo sulle 4 Stagioni
L’Orchestra, diretta dal Maestro De Matteis, era composta da 45 elementi, di cui 24 violini, 6 viole, 3 violoncelli, 3 contrabbassi, 2 cembali, 2 oboi, 3 fagotti, 2 trombe. La soprano Vittoria Tesi interpretò la parte di Achille, mentre la prima donna fu il soprano Anna Peruzzi
Negli intervalli il re, un po’ annoiato, sonnecchiava pur sorridendo a tutti; lo spettacolo terminò alle due di notte. Nei corridoi erano state allestite bancarelle con rinfreschi a pagamento: caffè, cioccolata calda, latte, aranciate e limonate in spremuta, frutta candita, sorbetti, gelati.
I proprietari dei palchi si scambiavano visite di cortesia; da quella prima sera rimase l’abitudine di farlo; anzi, ogni padrone di casa approntava per l’occasione un buffet.
Nel tempo il Teatro di San Carlo diventò non solo luogo d’arte ma anche la passerella dove si celebravano gli avvenimenti importanti dei sovrani.
Un anno dopo l’inaugurazione, nel 1738, si tenne un gran ballo in maschera di Carnevale; il re vi prese parte vestito da africano, festeggiando nell’occasione la presenza della sua regale consorte Maria Amalia di Sassonia.
Trent’anni dopo, nel 1768, il figlio Ferdinando IV in compagnia dei cognati Leopoldo granduca di Toscana e di Giuseppe d’Asburgo imperatore d’Austria, e tutto il corpo diplomatico presente a Napoli, presentò ancora al San Carlo la sua bellissima giovane moglie Maria Carolina tra gli applausi degli spettatori, tra i quali il duca Raimondo e la duchessa Carlotta dei de Sangro di Sansevero e il loro figlio Vincenzo e sua moglie la principessina Mirelli di Teora.
Nel 1799 anche gli ufficiali francesi del generale Championnet san Carlo scelsero sempre il San Carlo per un gran ballo cui parteciparono Eleonora Pimentel Fonseca e gli altri patrioti giacobini per i festeggiamenti della Repubblica Napoletana.
Il 13 febbraio 1816 il Lirico andò a fuoco a causa di una lanterna non spenta bene; re Francesco I nominò subito una regia commissione composta da sei ministri per la ricostruzione del Teatro: don Troiano Marulli duca d’Ascoli, don Michele de’ Medici principe di Ottaviano, primo ministro, don Mario Mastrilli duca di Gallo, don Giovanni Carafa duca di Noja, sindaco di Napoli, don Francesco Berio marchese di Salsa.
I lavori di ricostruzione durarono 7 mesi e il nuovo Teatro di San Carlo fu inaugurato ai primi mesi del 1817 alla presenza del re, del maresciallo austriaco Neipperg e della duchessa di Parma, Maria Luigia d’Asburgo, ex moglie di Napoleone, di Maria Luisa di Berry duchessa di Lucca e suo figlio Carlo Ludovico Borbone-Parma.
nel 1835, re Ferdinando II presentò al San Carlo sua moglie Maria Cristina di Savoia, che, religiosissima qual era, fece proibire alle ballerine e cantanti di mostrare le gambe, indossando braconi verde pisello; il divieto fu in vigore fino alla sua morte, nel 1836. Il sovrano poi si risposò con Maria Teresa d’Austria.
Nel 1854 Ferdinando II incaricò il Primo ministro cavalier Nicola Santangelo di restaurare e abbellire il Teatro: in 4 mesi e 6 giorni, dal 28 giugno al 3 ottobre, la platea fu rifatta con poltrone di ferro e pavimento di marmo. Vennero rinnovate le dorature dei palchi e gli affreschi del soffitto, l’illuminazione fu trasformata a gas come già in tutta la citta e fu dipinta la gran tela del sipario larga 66 palmi istoriata con 80 figure del Parnaso. Inoltre il Teatro fu dotato di una seconda entrata.
Michele Di Iorio