FIANO ROMANO (ROMA). Anno 1528. La cella è buia, angusta, fiocamente illuminata dalla luce lunare. La giovane giace morta in un lago di sangue: ha estratto un chiodo dalla parete e si è trafitta la gola. Un gesto intriso di una disperazione profonda.
L’autorità ecclesiastica l’ha accusata di stregoneria e connivenza con il diavolo. La condanna è di essere arsa viva sul rogo.
Il giudice ha deciso che la morte incenerisca la sua giovinezza e la sua avvenenza, ma come morire ha voluto deciderlo lei. È il solo modo con cui la giovane Bellezza Orsini ha potuto affermare la sua volontà, gridare la sua innocenza.
Ha spiegato al giudice di Fiano che non voleva far male a nessuno, anzi curare le persone con le sue erbe mediche, ma Marco Callisto da Todi non ha voluto riconoscere la sua rettitudine.
Le torture che Bellezza ha subito per estorcerle la confessione sono state acerrime. Quanta fantasia può avere il sadismo umano. I tormenti e gli interrogatori l’hanno stremata, distrutta fisicamente e psicologicamente. Ha desiderato solo che tutto ciò finisse il prima possibile.
Così, ha dichiarato quello che il giudice voleva indurla a dire: «Andamo alla noce de Benevento e illi [lì] facemo tucto quello che volemo col peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro».
Poi, ha continuato: « Illi facemo gran festa e jova [gioco] e pigliamo piacere grande e poi il diavolo piglia quattro frondi de quella noce e cusì ne ritornamo a casa e dove volemo ad streare [stregare] e far male ad qualcheduno … ».
Ha recitato anche la formula che, secondo la credenza popolare, permetteva alla strega di volare: «Unguento, unguento, portace alla noce di Benevento, per acqua e per vento e per ogni maltempo».
Bellezza era figlia di una povera famiglia contadina che la diede in sposa, giovanissima, ad un uomo violento e vagabondo, il quale l’abbandonò alla nascita del loro figlio Bartolomeo.
Per avere un sostentamento, la giovane, trovò servizio presso gli Orsini, una famiglia dell’aristocrazia romana, al castello di Monterotondo. Bellezza non solo lavorò come serva, ma ebbe anche il compito di portare da mangiare ad una prigioniera del castello.
La detenuta era Lucia da Ponzano, una donna che conosceva il valore curativo delle erbe e sapeva preparare medicine e tisane. Gli Orsini, pur considerandola una strega, non vollero denunciarla al Tribunale, ma tenerla come medico personale.
Le due donne divennero amiche, e Lucia volle trasmettere tutto il proprio bagaglio di conoscenze mediche a Bellezza. La giovane, così, si prodigò nel curare tutti coloro che ne ebbero bisogno. Tuttavia, un giorno accadde che un giovane malato, curato da lei, morì, ed i parenti accusarono Bellezza di averlo stregato ed ucciso, denunciandola.
La Chiesa cattolica, tramite il Tribunale della Santa Inquisizione, condannò al rogo centinaia di migliaia di donne, nella maggioranza dei casi del tutto innocenti. Fino alla metà del XVII secolo il Malleus Maleficarum rappresentò il più consultato manuale della caccia alle streghe, poiché spiegava come riconoscerle, processarle ed interrogarle efficacemente tramite le più crudeli torture.
«Strega è quella donna che, untasi con un suo unguento, va in ore notturne – per lo più per aria, portata dal demonio in forma di caprone o d’altro animale – a un congresso d’altre streghe e demoni, che si celebra in certi determinati luoghi e tempi – i cosiddetti Sabba presso il succitato albero di noce di Benevento, ad esempio. Per ricompensa, da lui [il demonio] ha pure la facoltà di trasformarsi in varie specie di animali, entrare a porte chiuse nelle case e nelle stanze di qualunque persona, eccitare piogge e tempeste, e cose simili».
Tiziana Muselli