ERCOLANO – Il fenomeno dell’emigrazione, al centro dell’attenzione pressoché quotidiana dei mass media, è stato l’oggetto del dibattito nell’incontro nell’ambito del Festival della Memoria che si è tenuto venerdì 19 settembre presso il Mav dal titolo “Memorie di emigrazione”.
Moderato dal giornalista Adolfo Pappalardo, l’incontro ha visto la partecipazione delle scrittrici Marinette Pendola e Roberta Yasmine Catalano, del prefetto Mario Morcone e dell’attrice Behi Djanat Ataï.
Le vicende d’emigrazione, familiari o personali, hanno dato modo di approfondire la tematica da un punto di vista più che mai attuale e diretto.
Il dibattito ha offerto così la possibilità di approfondire un tema intorno alla quale vi è ancora oggi molta ignoranza. Per superare alcuni stereotipi occorre principalmente abolire i vecchi e stantii paradigmi concettuali che offuscano la mente, impedendo la corretta comprensione degli eventi e soprattutto valutare la storia dei popoli come continua trasformazione.
Si tratta di un fenomeno che ha origini antichissime, e corrisponde al continuo moto dell’uomo verso altri luoghi, diversi dal suolo patrio. L’incessante peregrinare dell’uomo si trova delle volte a subire la spinta di molteplici motivazioni come la necessità, la semplice curiosità o la speranza di trovare un luogo più ospitale per condurre la propria vita. Come scriveva Seneca, nella celebre “Consolatio ad Helviam Matrem”: «Non troverai una terra che sia ancora oggi abitata dalla popolazione indigena. Tutte si sono mescolate e incrociate».
Così oggi ancora di più non si è più cittadini di una sola nazione, ma soggetti multiculturali, posti al confronto con realtà differenti e variegate.
«Tutti coloro i quali hanno vissuto un’esperienza di emigrazione, hanno un’identità culturale simile ad un mosaico», ha spiegato, nel suo intervento la scrittrice Marinette Pendola, nata a Tunisi da genitori di origine siciliana.
Ciò non significa, però, che si debba perdere la propria originaria identità culturale.
«Ogni tanto c’è bisogno di recuperare la nostra identità – ha continuato – e lo si fa soprattutto attraverso le tradizioni. Nonostante ci sia qualcosa che inevitabilmente si perde come la lingua d’origine. Nel nostro nucleo familiare parlavamo un dialetto siciliano dell’ottocento, arricchito da alcune parole arabe e da parole francesi. Questa lingua sta morendo, ed io sono l’ultima rappresentante di una generazione che lo capisce. Scrivo soprattutto per tramandare questa memoria».
La scrittrice Roberta Yasmine Catalano, nata a Roma, ma con ascendenze libanesi, ha vissuto gli anni della formazione in Marocco. Il suo forte legame con il Marocco, il desiderio di ritornarvi, le rende problematico il pieno adattamento in Italia. Ha dichiarato, ad esempio, di perdersi ancora a Roma.
«Soprattutto quando si vive in un periodo così delicato, come quello della formazione, in un paese diversissimo da quello in cui successivamente si va ad abitare, è molto difficile ritrovarsi in un nuovo contesto», ha spiegato.
Rivolgendosi ai numerosi giovani presenti in sala, ha aggiunto: «Per me è importante che i ragazzi quando vedono in tv le storie drammatiche, non si sentano estranei a queste vicende realtà. Ognuno ha, per esempio, un nonno o un altro parente emigrato in diverse zone del mondo. È essenziale non perdere di vista le proprie origini e rispolverare la memoria per liberarsi di questa gravissima amnesia storica».
L’attrice Behi Djanat Atai, di origine iraniana ma arrivata in Francia a 16 anni dopo la rivoluzione islamica in Iran, è giunta a Napoli per la presentazione del film ce è stato proiettato al Festival “Pour un instant, la liberté” del regista iraniano Arash T. Riahi.
Il film racconta la storia di tre gruppi di iraniani giunti in Turchia per ottenere dei documenti per recarsi in Europa. Dal suo punto di vista, di attrice ma soprattutto di donna ha spiegato la problematica situazione iraniana, in cui è ancora molto esigua la libertà d’espressione.
Francesca Mancini