“Perché Shakespeare?” Jo Tréhard, direttore del teatro della Maison de la Culture di Caen,nel lontano 1968 risolveva così la questione:«Montare uno Shakespeare è come darsi la possibilità di attingere alle fonti autentiche dell’arte del teatro, nel 1967 è scommettere sulla vitalità di un classico molto più contemporaneo, a mio parere, di molte opere che pretendono avere una presa sulla realtà. Mi pare che Shakespeare s’interessi di più alla teatralità dei meccanismi che alla storia stessa…»
La risposta a questa domanda cela la profonda formazione artistica di un regista: scegliere un classico significa dare un giudizio sul concetto-teatro e rivelare la propria idea di teatro contemporaneo.
Significa, in qualche modo, prendere posizione sulla natura del “culturale” di ieri e di oggi. Approfondire criticamente il repertorio classico,introducendoscelte arbitrarie motivate e funzionali ad una messinscena che guarda alla contemporaneità.
E come negli anni ’70 per il francese Planchon («Ogni nuova regia, anche condotta con tutto il rigore possibile, non arriva ad un risultato certo, ma è un rischio da assumersi»),così Laura Angiulli continua a correre questo rischio ogni qualvolta che si inoltra nella scrittura shakespeariana.
Per la nuova stagione di Galleria Toledo, la registasceglie di attraversare una delle commedie romantiche del Bardo, scritta nel 1596, “Il Mercante di Venezia”.
Emerge palese, lo studio profondo, filologico che sottende alla realizzazione di una messinscena sapiente che riesce a definire i motivi cardine del testo con finezza e felicità di tratto, operando un lavoro di trasposizione e non di amputazione, in nome di una grande fedeltà al grande genio William Shakespeare.
Per l’occasione, lo spazio scenico di via Concezione a Montecalvario si mostra rinnovato: il palcoscenico si è ampliato ed un grande quadrato colmo d’acqua si spinge in platea divenendo protagonista della scena.
Circoscritto da confini ben delineati e limiti da non oltrepassare, lo specchio d’acqua, come un ring per naumachie in miniatura si fa luogo di battaglie, di piccoli e grandi conflitti: tra realtà e idealità. Lotte sociali, di classe,di genere, religiose, tra la cultura egemone dominante e quella sottomessa delle minoranze.
In una penombra rarefatta, gli attori già in scena,seduti in semicerchio su sgabelli e scheletri di sedie, attendono che gli spettatori prendano posto come per continuare e non per cominciare. Non sembra che debbano definirsi con un inizio di battuta: essi paiono avere un passato, una vita prima ancora che il dramma inizi.
Sul fondo a sinistra, posto ad angolo, imponente un talamo e grandi bauli in legno, scrigni d’oro e d’argento, custodi di missive e di destini: è l’isola di Porzia, la montagna incantata della bellezza, il dominio dove regnano Amore e l’ideale.
Dalla platea, affacciandosi sulla riva della scena, si assiste ad una sorte di sovrimpressione di immagini: ciascuno degli astanti, il proprio punto di vista e la personale visione prospettica che ne consegue, intravede la scena ripartita in più piani, percependo in contemporanea la polivalenza di luoghi e persone, di quelli reali e quelli riflessi nell’acqua. Così, ogni rimando alla platea si moltiplica, e il gioco del doppioappare maggiormente ambiguo, svelandosi e ingannando a più livelli.
Gli attori, muniti di stivali di gomma, fluttuano come l’acqua in cui camminano, discutono, si infuriano e si emozionano. L’assito appare come moto continuo su cui i personaggi sembrano fissarsi nel loro stesso movimento inverso. Passi misurati, scalpitii marcati in quell’acqua che purifica e che contamina, che subdola s’insinua, corrode, e lede la stabilità delle fondamenta, di pilastri e di coscienze. Di quella cristiana dei tanti come di quella ebraica dei pochi.
Il rumore dell’acqua accompagna ogni parola, ogni gesto, ne rimanda l’intensità che la tonicità fisica infonde alle intenzioni che ciascuno esprime ed imprime. L’acqua, salvezza per rinascere e tomba per marcire, liaison tra lembi di universi che si sfiorano: il regno del possibile e quello del reale, l’utopica Belmonte e la Venezia mercantile e corrotta, l’armonia e il disordine, l’indole sognatrice delle donne e l’immanenza degli uomini.
Le vesti principesche di Porzia e della sua ancella Nerissa non toccano il fondo, non si mescolano al sommerso. Le fanciulle sono come sospese: la fiaba è preservata.
Gli avvolgenti mantelli dei principi pretendenti,al contrario, si trascinano raso terra impregnandosi di quel liquido scuro. I personaggi emblematici dei contrasti e dei conflitti come Lancillotto Gobbo, Shylock, sono quelli maggiormente declassati sul lato morale ma inversamente esaltati dall’efficacia scenica.
Shylock,nell’intensa interpretazione di Giovanni Battaglia, è perfetto nei suoi tratti fisiognomici, nella chiusura della sua postura, incurvato dalla sua ingenerosità verso gli altri e se stesso, con il suo bofonchiare tra sé e la sua particolare intonazione; è identificabile in una delle dramatis personae che, malgrado l’imponente statura scenica, non guidano l’azione del drammama né costituiscono il senso.
Shylock, l’ebreo, è il villain, straniero e quindi malvagio, ma anche colui che, infine si piega, cadendo in ginocchio nel sommerso,“inabissando” innanzi al potere dominante con forza e dignità. E come la barbara della Colchide e il cucciolo bastardo Calibano, suscita pietas.
Lancillotto Gobbo, fortemente caratterizzato dal registro linguistico, dagli scambi di timbro vocali e dall’espressioni mimico-gestuali stereotipate del servitore da commedia dell’Arte, esplicita il senso del doppio oscillando tra intenti con goffa malizia, senza eccedere in facili stilemi caricaturali.
Nell’eterea Porzia, Alessandra D’Elia, le parole semplici ed accorate per il suo amato Bassiano si alternano, con risultati mirabili, in un incedere gentile, mostrando nel contempo franchezza e reticenza, ingenuità ed arguzia, sia nel linguaggio che nel gesto misurato, ondeggiante e quasi sempre proteso verso l’alto.
Antonio, Stefano Jotti, tra i personaggi occupa uno dei livelli più alti della gerarchia morale in virtù della sua generosità verso Bassiano, in nome della loro amicizia romantica, particolarmente prodigo con i suoi simili, triste per copione, pacatamente muove l’azione drammaturgica come vittima apparente che conduce i giochi dei poteri forti. È scontato che la sua libbra di carne, reclamata dall’ebreo, è salva. A prescindere dalla nobiltà della richiesta.
“Il Mercante di Venezia”, diretto da Laura Angiulli risulta un lavoro ben calibrato che fa un grande uso della pratica teatrale, vista come tecnica, estetica che rende leggibile soprattutto la saldatura tra il piano dell’idealità e del concreto, dell’amore con quello socio-politico sottolineandoil parlare scenico insito nella drammaturgia shakespeariana.
Il palcoscenico-laguna, acqua stagnante che non sfocia in mare, è più di una metafora, una machine à joeur in cui luci, scenografia, le capacità immaginative della regista, l’aspetto metateatrale e la rigorosa recitazione s’intersecano in un rapporto di vere forze creatrici.
Le due scritture,quella drammatica e quella scenica, si completano ed ogni intuizione registica restituisce vecchi e nuovi prestiti, rivelando nuove sfumature, forse, purtroppo o per fortuna, mai lette prima.
(Foto by Marco Ghidelli)
Antonella Rossetti
8-16 NOVEMBRE 2014
Il Teatro coop.produzioni/Galleria Toledo
IL MERCANTE DI VENEZIA da William Shakespeare
drammaturgia, regia Laura Angiulli
con Giovanni Battaglia, Gianluca d’Agostino, Michele Danubio, Alessandra D’Elia, Stefano Jotti, Antonio Marfella, Fabiana Spinosa, Chiara Vitiello e con gli allievi Giuseppe Brunetti, Maria Grazia Di Maria
impianto scenico Rosario Squillace
luci Cesare Accetta
assistente alla regia Flavia Francioso
responsabile tecnico Luigi Agliarulo
costruzione Donato Arrighetti
promozione Lavinia D’Elia