Michele, orfano di padre, un adolescente imbranato, alle prese coi dilemmi della crescita, acquista il superpotere dell’invisibilità. Ma scopre di avere nemici che lo braccano…
Gabriele Salvatores ha diretto questo film (ITA-FRA, ‘14) crossmediale: un’opera cioè che naviga su più media; in questo caso cinema e fumetto.
Bisogna dire che l’idea è del produttore del film, Nicola Giuliano, napoletano, uno dei più intelligenti e innovativi del nostro cinema: per esempio, è suo “La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino. Non solo l’ha prodotto con Francesca Cima, insieme a tutti gli altri suoi film, ma vi hanno creduto fortemente, tanto da portarlo in USA, assumendosi spese e azzardi di non poco peso, poi premiato dall’Oscar. Esattamente come fece il grande, compianto Franco Cristaldi con Tornatore.
Come anche hanno sostenuto e incoraggiato i più che promettenti giovani film-makers nel “cinema di realtà” (il documentario: mo così lo chiamano…) come Pietro Marcello, Leonardo Di Costanzo e Bruno Oliviero.
Insieme alla Cima, è lui soprattutto che nel concepire l’idea centrale del film, ha avuto l’intuizione di “incrociare”, fin dall’inizio, media diversi: così è ricorso a giovani sceneggiatori, Ludovica Rampoldi, che è sua moglie, Alessandro Fabbri e Stefano Sardo, già adusi a sperimentazioni in tal senso, per il film e altri per la “letteratura disegnata”.
E dopo che il nucleo era stato ben identificato, è stato individuato in Gabriele Salvatores l’unico regista italiano che poteva gestire, sviluppare e coordinare un’operazione del genere. Ed è proprio così: Salvatores, pur essendo indubbiamente un autore (premio Oscar per “Mediterraneo”), non ha mai disgiunto la sua ricerca espressiva dal confronto coi generi narrativi: come da esempio la sci fi in “Nirvana”. O il noir con “Amnèsia”, “Come dio comanda”, ecc.
Del resto uno dei suoi più bei film, un vero punto fermo della storia del cinema italiano, “Io non ho paura”, vi appartiene anch’esso a pieno titolo.
Qui hanno messo su un riuscito film fantasy alla Marvel: «Superpoteri con super problemi», verrebbe da dire. Ma in realtà si tratta di una geniale metafora esistenziale.
Come nel variegato e affascinante Walhalla Marvel, ogni figura manifesta una sfaccettatura specifica del disagio di vivere. Qui è un adolescente alle prese dei conflitti nati nella fase delicata del suo sviluppo.
La bellezza del film è che la metafora non cede il passo alla sua illustrazione spettacolare: ne è sapientemente intrisa. Salvatores riesce ad essere credibile nel tenere i due livelli narrativi in perfetto quanto instabile equilibrio.
C’è la “solidità” materica degli effetti visuali, abbastanza complessi, di Stefano Marinoni (quelli speciali sono di Fabio Traversi), sostenuti da originali svolte psicologiche, alcune anche simpaticamente ironiche.
Ma i cattivi hanno credibilità, forza d’immagine e spessore, e l’insieme marcia spedito: noi ne restiamo presi. La narrazione si dà il giusto respiro, tra il senso del “togliere”, e quello dell’”aggiungere”, per farci soffermare sulle sfumature comportamentali: come ha fatto il bravo Sam Raimi, nella prima, recente trilogia di Spiderman: non a caso, Salvatores, vi si è richiamato.
Il tutto, per quanto in un contesto stilisticamentedeciso, ha comunque un sapore visuale come lontano, sospeso grazie all’uso splendido dell’ambientazione (la location) di Porto Vecchio di Trieste. Il senso del mare, quindi l’apertura verso l’infinito, come un qualcosa di aereo, vago, nebbioso, pur senza umidità,alla Turner.
Il lavoro dello sperimentato direttore della fotografia, Italo Petriccione, che ha spesso collaborato con Salvatores, ha suggerito una luminosità opalescente, come di un’”Isola che non c’è”.
Il montaggio di Massimo Fiocchi, anch’egli fisso di Salvatores, ha saputo dare le giuste scansioni al rapporto con la musica, che ha utilizzato melodie prodotte da giovani autorisconosciuti scelte in un contest sperimentale ad hoc.
Le scene d’azione, poi, e più in generale le scene thriller, al contrario di gran parte dei film italiani che hanno come obliato la lezione del nostro cinema di genere fino agli anni ottanta, “mantiene botta”. Anche in questo il montaggio è stato all’altezza.
Degli attori mi ha colpito la totale ambiguità della figura di Fabrizio Bentivoglio; mentre il ragazzino, Ludovico Girardello. e tutti i teenager presenti funzionano. Mi ha invece poco convinto il sotto-finale che apre all’eventuale sequel.
Francesco “Ciccio” Capozzi