L’8 dicembre 1856, giorno della madonna Immacolata, festività prenatalizia, il re Ferdinando II di Borbone Due Sicilie esce prestissimo con la regina Maria Teresa d’Austria in divisa di Capitan Generale dell’Esercito.
Si reca dunque al Campo di Marte di Capodichino, attuale sede dell’aeroporto civile, per partecipare alla messa militare. Prende posto tra lo Stato Maggiore sfilando a cavallo tra le fanfare militari che intonano la Marcia Reale, l’inno nazionale del 1816 di Paisiello, mentre viene sparata la salva di artiglieria che tradizionalmente apre della parata dell’Immacolata.
Il re è soddisfatto: dal 1830 la sua politica ha portato il Regno ad un livello di benessere e di progresso che lo ha posto tra le grandi potenze europee.
Quella mattina la parata si svolge tra ali di folla in festa. Tra lo sventolio delle bandiere borboniche sfilano prima le Guardie Reali e man mano Artiglieri, Granatieri, Cacciatori d’assalto, Ussari, Dragoni, Lancieri, Cacciatori a cavallo, Fanti di mare e Marina, Corpo Sanitario, Genio, Allievi delle Accademie, Corpo Telegrafisti, Reale Gendarmeria a cavallo, i 4 reggimenti svizzeri, Cacciatori di linea a piedi, Fanti d’assalto. Infine arriva il III battaglione Cacciatori a passo di parata davanti al Re e allo Stato Maggiore, mentre la fanfara reale riattacca l’Inno Reale.
Improvvisamente un soldato capofila fa un passo avanti e spinge la lama della baionetta del fucile contro Ferdinando che montava il suo destriero. Fortunatamente il sovrano viene ferito leggermente perché la lama urta sul portafondi della sella del cavallo.
Il soldato tenta allora di trafiggere il Re con un secondo colpo ma il tenente colonnello dello Stato Maggiore de La Tour sopraggiunge al galoppo e fa cadere Ferdinando dall’arcione con la sciabola evitando così il peggio.
Don Carlos conte di Montemolino, cognato del re, lo aiuta dunque a rialzarsi. Il re lo ringrazia e gli impone il silenzio per evitare le che truppe svizzere che non si sono accorte dell’attentato possano sparare sui soldati provocando una strage immotivata che avrebbe potuto trasformare le sorti del regno.
Si decide dunque di diffondere una notizia ufficiale per non esacerbare gli animi: si comunica che mentre un soldato si avvicinava al re per rivolgergli una supplica, Ferdinando aveva perso l’equilibrio ed era caduto, ma senza conseguenze.
Come se nulla fosse successo, e le truppe sfilano ancora per un’ora, mentre i gendarmi traducono in manette al carcere militare il soldato attentatore. È Agesilao Milan.
La regina Maria Teresa, temendo che la baionetta fosse stata avvelenata, coraggiosamente succhia il sangue dalla ferita del marito, che impassibile e saggio non dice una parola. Soltanto un’ora dopo, tornato a palazzo Reale si fa visitare dal Medico di Camera dottor Franco Rosati.
La notizia dell’attentato però incomincia a circolare e a Corte arrivano messaggi augurali degli ambasciatori stranieri, compreso quello del Regno di Sardegna.
In serata i Reali escono dal Palazzo per salutare il popolo plaudente e rassicurare tutti sullo stato di salute di Ferdinando.
La città è illuminata a festa e nelle chiese si intonano Te Deum di ringraziamento per lo scampato pericolo.
Intanto le indagini avevano avuto inizio: il Consiglio di Guerra del III battaglione Cacciatori aveva già interrogato i testimoni.
Il 12 dicembre verrà ascoltato l’attentatore Agesilao Milano, 26 anni, nato in Calabria a San Benedetto Ullano nel cosentino, di origine albanese.
Il Milano aveva partecipato ai moti calabresi del 1848 e durante le manovre militari in Calabria del marzo 1852 aveva giurato in un’osteria del paese che un giorno avrebbe ucciso il re. Simpatizzante dei liberali, era stato avvicinato da agenti stranieri e cospiratori, che lo avevano spinto al gesto estremo.
Rispondendo all’interrogatorio dirà che aveva attaccato il re non come un volgare assassino ma in pieno giorno fronteggiando a viso aperto un nemico.
Il suo gesto aveva destato stupore nei suoi superiori perché negli ultimi sei mesi aveva tenuto condotta irreprensibile dal punto di vista militare. Non confesserà mai di essere mazziniano né carbonaro.
Sarà giudicato e condannato a morte per impiccagione in pubblica piazza per alto tradimento e tentata uccisione del suo sovrano.
Ferdinando II avrebbe voluto concedergli la grazia e tramutare la pena in ergastolo a vita ma i giudici militari e i suoi consiglieri militari furono irremovibili: sarà impiccato il 13 dicembre a Piazza Mercato.
L’attentato di Agesilao Milano si inserisce nel contesto delle continue agitazioni che precedettero lo sbarco dei garibaldini. Nello stesso anno in Sicilia il barone Bentivoglio sobillato dalla massoneria inglese e sabauda e armato dalla Marina inglese, al largo della Sicilia, aveva tentato di occupare con un pugno di picciotti siciliani Carini e il suo Castello. Fu fermato dalle truppe borboniche.
Nel 1857 sarà la volta dello sbarco di Carlo Pisacane a Ponza dove libererò 300 detenuti comuni, seguito da quello armato a Sapri dove si scontrò con la popolazione contadina, le guardie urbane e i soldati lealisti. Sarebbero morti quasi tutti; i superstiti finirono la loro vita in ergastolo a Ventotene.
Entrato a Napoli nel 1860 Garibaldi assegnerà un vitalizio di risarcimento alla madre e alla sorella di Agesilao Milano. I soldi furono presi dalle casse requisite al Banco di Napoli …
Michele Di Iorio