BALVANO (POTENZA) – È la notte tra il 2 e il 3 marzo 1944. Il lungo treno merci 8017 partito da Napoli con destinazione Potenza si sta dirigendo verso la stazione Bella-Muro. La pioggia ha bagnato le rotaie e in salita nella Galleria delle Armi le ruote della locomotiva slittano causando l’arresto del treno. Soltanto due vagoni sono rimasti fuori dal tunnel.
Lo sforzo di dare pressione alle caldaie per indurre il treno a muoversi produce grandi quantità di monossido e acido di carbonio, gas tossici e letali che penetrano nella locomotiva. Infatti il condotto di aereazione piccolo e la stretta galleria non ne aiutano la dispersione. Muore di asfissia quasi interamente il personale di servizio e moltissimi passeggeri che dormono.
Il frenatore del carro di coda scendendo dal treno comprende la tragedia e corre alla stazione di Balvano, avvisando il capostazione dell’accaduto. Dopo una ricognizione giungono i soccorsi per i superstiti che presentano forti sintomi di intossicazione, mentre i cadaveri vengono deposti sulla banchina della stazione. Il ritardo della locomotiva non ha causato allarmismo poiché in questo periodo di guerra anche brevi distanze vengono percorse in tempi lunghi.
Questo tragico episodio, passato alla storia come “il disastro di Balvano” fu il più grave incidente ferroviario della storia italiana per numero di vittime. Una sciagura per troppo tempo celata nel silenzio e nell’oblio e mai chiarita del tutto.
Il treno 8017 accoglieva anche molti passeggeri clandestini che si spostavano verso il capoluogo lucano per rimediare generi alimentari diffusi dal mercato nero. Per le autorità episodi consueti su cui chiudere un occhio.
L’elevato numero di passeggeri, 600, appesantì la locomotiva oltre il limite massimo di sicurezza e fu concausa del disastro, così come la composizione del treno con due locomotive in testa e soprattutto la scarsa qualità del carbone che determinò una insufficiente potenza calorifica e carico di scorie.
Il numero dei morti, di cui molti per mancanza di documenti non vennero mai riconosciuti, superò forse i 600. Furono sepolti senza funerali nel cimitero del paese in fosse comuni. Il personale ferroviario invece venne sepolto a Salerno. Molti sopravvissuti riportarono lesioni psichiche e neurologiche. La commissione parlamentare accantonò l’accaduto come un incidente attribuito a forze di causa maggiore.
Molti dei parenti delle vittime inoltrarono causa alle Ferrovie dello Stato che declinarono ogni responsabilità sia per il regime di occupazione militare da parte del comando alleato sui tratti ferroviari sia per la posizione irregolare dei viaggiatori. Tuttavia il Ministero del Tesoro emise un risarcimento per le famiglie delle vittime, anche se venne erogato dopo lungo tempo.
Il comune di Meta di Sorrento ha dedicato una lapide alle vittime della penisola sorrentina. A Sant’Egidio del Monte Albino oltre a dedicare una lapide ai suoi compaesani deceduti il 3 marzo è stat istituito Giorno della Memoria Cittadina, mentre nel 1972 Salvatore Avventurato figlio e fratello di due vittime fece costruire una cappella nel cimitero di Balvano in ricordo dei caduti della tragedia.
Tiziana Muselli