Giosuè Carducci nacque il 27 luglio 1835 nella bellissima Volterra patria tosca degli Etruschi, da Michele, noto medico e carbonaro pisano e dalla dolcissima Ildegonda Celli.
Dal 1838 visse con la famiglia a Castagneto, nella frazione di Bolgheri, antico feudo dei conti della Gherardesca, trascorrendo l’infanzia tra selvaggia libertà e passeggiate nella Maremma e nelle pinete della Versilia.
Da suo padre imparò il latino e la Divina Commedia del suo amatissimo Dante Alighieri, l’Iliade, l’Eneide, La Gerusalemme liberata di Tasso e le liriche del Manzoni,.
A soli otto anni apprese dalla madre delle tragedie di Alfieri, la leggenda del Santo Graal, il mistero dei Cavalieri templari, l’alchimia spirituale e la filosofia ermetica dei Rosacroce, della grandezza di Roma antica.
Nel 1846 compose le sue prime poesie e un ottava contro la granduchessa Maria Antonietta Lorena di Toscana. Due anni dopo piantò un albero insieme a suo padre, capo del movimento contrario ai della Gherardesca e ai Lorena.
Nel 1848 seguì il padre confinato a Firenze e tra avventure e amori giovanili si laureò in Lettere alla Normale di Pisa nel 1856.
Pubblicando articoli, cominciò ad insegnare al ginnasio di San Miniato al Tedesco, dando contemporaneamente lezioni private. Risale al 1857 il suo primo capolavoro poetico, Le rime.
Due anni dopo si sposò. In seguito insegnò al liceo di Pistoia e nell’agosto 1860 ottenne la cattedra universitaria di Eloquenza a Bologna.
Nel 1862 venne ricevuto su sua domanda nella libera muratoria della loggia bolognese La severa.
Sebbene repubblicano di pensiero, plaudì all’unità italiana. Nel 1863 si scagliò contro il papato con la sua poesia Ode a satana.
Già nel 1878 veniva acclamato Vate della poesia umbertina e fu insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine equestre civile dei Savoia dalla regina Margherita.
Nel 1888 arrivò al massimo grado massonico scozzese d’Italia, il 33.
Suo allievo preferito fu Giovanni Pascoli, che iniziò in massoneria nel 1882 nella loggia Rizzoli di Bologna.
Nel 1889 si recò in villeggiatura in Svizzera alle terme sul lago Lemano di Ginevra, dove conobbe la ventenne inglese Annie Vivanti, e se ne innamorò.
Più giovane di 35 anni, la Vivanti andò a vivere con lui all’Hotel Italia su lago di Varese. Qui Carducci incontrò l’avvocato Giustiniano Lebano. Tra i due nacque una amicizia che durò fino alla morte.
Nel 1890 fu nominati senatore del Regno. A Roma fece la conoscenza di senatore Pasquale del Pezzo duca di Campodisola, che lo invita a Napoli , dove si recò Vivanti. Accolto trionfamente da poeti, scrittorie e massoni con un mitico pranzo al ristorante Lo Scoglio di Frisio, dove Edoardo Scarfoglio tenne un discorso di benvenuto.
Nel suo soggiorno napoletano abitò all’ultimo piano di Palazzo Sansevero. Accompagnato da Pasquale del Pezzo fece un’escursione nel vesuviano, visitando Portici e Torre del Greco. Si recò poi in visita a Villa Lebano di Trecase dall’avvocato Giustiniano.
Carducci tornerà a Napoli per ben 7 volte, in occasione di congressi universitari e massonici, tenendo conferenze ed esami universitari fino a 1898.
Poeta del contrasto dell’esistenza terrena, tra sentimento della vitalità e ineluttabilità della morte, Giosuè Carducci scrisse di luce e buio, sole e ombra, suono e silenzio, calore e freddo, terra verde rigogliosa e terra nera dei sepolcri, come scrisse di lui Walter Binni.
Uomo di intelletto e ragione, amò tantissimo il cielo e il mare di Napoli, ma anche la sua squisita cucina e la sua grande cultura.
Alla morte di Carducci nel 1907, parteciparono tanti amici di Napoli, tra cui Pasquale del Pezzo e Giustiniano Lebano.
Per volontà del grande Carducci la salma venne solennemente vestita coi paramenti massonici ed esposta nella sala della sua biblioteca ricca di 40mila volumi.
Michele Di Iorio