La famosa maschera napoletana di Pulcinella ha origini antichissime: se ne trovano elementi già nelle atellane, le favole di Atella e di Acerra.
Nel Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli del 1797 lo storico Giustiniani ricorda che una maschera dell’antica Roma simile a quella di Pulcinella venne rinvenuta presso l’Esquilino, mentre lo studioso Schleger ne ha riconosciuta una su vasi etruschi e su alcuni fregi di recite teatrali dell’antica Pompei. Figure con berretto conico bianco ricorrevano inoltre nelle pitture delle tombe campane dei Sanniti. Va anche ricordata la maschera osca detta Maccus che poi si trasformò in quella romana di Pappus.
Il nome Pulcinella secondo lo storico veronese Fainelli ricorda un personaggio detto Pulcinella delle carceri, soldato e intrigante, guardiano di templi e guaritore o medico dell’antica Roma vissuto di espedienti a Napoli, poi congedato e finito in prigione. Secondo la maggior parte degli storici invece il nome deriva da Paul Cinelli, francese oriundo di Acerra al tempo degli angioini, detto Pulicenella cetrulo.
Il Levi cita i versi della poesia del De Bonis del 1300 su Pulcinella, personaggio trattato anche da Giulio Cesare Cortese in “Il Viaggio di Parnaso” del 1621.
Sarà poi il giureconsulto e scrittore napoletano Andrea Calcese morto di peste nel 1656 a perfezionare la descrizione del carattere di Pulcinella: uomo del popolo napoletano o acerrano, doppio, ambiguo, ladro, simpatico, dongiovanni, guappo, bugiardo, ex soldato e medico improvvisato o guaritore, mangione, istrione e attore nato.
Pier Maria Cecchini nel 1628 scrisse di un Pulcinella ben interpretato dall’attore Silvio Fiorillo, nato ad Atella o Acerra, sullo stile della maschera di Capitan Matamoros. Più tardi il comico romano Argieri rappresentò a Parigi la maschera con cappello di feltro a larghe tese, berretta e vestito bianchi e baffi e barba lunga.
L’attuale maschera di Pulcinella figlio di Acerra nacque nel 1738 nel teatro popolare San Carlino di Napoli a largo del castello con la dinastia dei comici napoletani Cammarano padre, figlio e nipote. Tra 1770 e 1799 venne preso costantemente in giro Ferdinando IV di Borbone, che tollerò la cosa a lungo ma alla fine fece arrestare Vincenzo Cammarano con l’accusa di essere filogiacobino …
Proseguendo la tradizione del Fiorillo e poi del Soldano, Pucinella veniva rappresentato contornato dalle maschere minori napoletane come Capitan Quaqquera, Ciurlo, Gian Frittello, Trastullo, Bellosguardo, Cucuba, Coviello, Pasquariello Truono, Francatrippa, amici e nemici sui palcoscenici dei teatri popolari e girovaghi. Le loro donne erano Lavinia, Lucia, Colombina, Franceschina.
Dal 1648 Pulcinella ebbe per moglie Lucrezia il cui nome più tardi venne trasformato in Zeza. Venne tradita dall’infedele marito con Smeraldina, Pasquella, Serpina, Lisetta, ma gli diede una figlia, Tolla, che poi divenne l’amante del calabrese don Nicola il Ricco.
Dal 1738 entrò in scena Colombina, figlia del giudice e avvocato don Anselmo Tartaglia, cameriera civettuola, pettegola e bellissima ma bugiarda, sfrontata e manesca, ricordata da Salvatore Di Giacomo e dal barone Zezza nel 1839.
Michele Scherillo nel 1884 scrisse di Pulcinella definendolo simbolo della pezzenteria e dell’antico lazzarone o del proletariato di Napoli. Divenne invece il filosofo del popolo con il Mayer.
Dopo Fiorillo e i Cammaranno la tradizione della maschera di Pulcinella continuò con il grande Antonio Petito, cui successe il suo allievo Peppino Di Martino fino al 1904.
La fama di Pulcinella venne definitivamente consacrata dal grande Eduardo De Filippo e nel 1962 da “Il prologo di Pulcinella”, una commedia per guarattelle in quattro quadri e ballo di Gaetano Vecchione.
Anche Massimo Troisi interpretò la maschera napoletana nel film di Ettore Scola “Il viaggio di Capitan Fracassa”, e in un certo qual modo la richiamò anche il grande Pino Daniele ai suoi esordi nell’album “Terra mia” …
La mitica presenza di Pulcinella non scomparirà mai perché è immortale come tutti gli abitanti dei vicoli, delle strade e della piazze di Napoli. È assurto con il tempo a simbolo libertario ed identitario di un popolo unito che nonostante tutto non ha perso la dignità che si esprime attraverso la sua particolare filosofia. Una Città che è e sarà sempre la speranza del Sud.
Michele Di Iorio