Io ci stavo. Ero lì, posso dirlo con onore e con orgoglio: lo posso gridare, qui in questo vento che nulla raccoglie, ferma e gira intorno alla mia amata Parma. Ho visto Guido che organizzava, che parlava, che ascoltava e rispondeva ; si fermava a pensare: faceva richiamare l’interessato: ridiscuteva con lui, se non era chiaro: ma poi decideva e si assicurava che le sue decisioni fossero comprese e accettate. La tarda sera del 1 agosto del ‘22, si aspettava l’arrivo dei “volontari” fascisti da un momento all’altro: la cosa era praticamente certa , perché le Caserme dei Regi Carabinieri e del Regio Esercito, davanti alle quali qualunque ingresso in forze alla città, doveva per forza passare, erano state svuotate per motivi misteriosi nella giornata precedente. Si erano viste le colonne di militari e Carabinieri in assetto di esercitazione allontanarsi dirette alla colline circostanti la città: era stato lasciato campo libero alle “migliaia di coraggiosi giovani volontari italiani ”, chiamati a raccolta per dare una “sonora lezione ai Rossi” di Parma, che “osavano non temere il Duce”. Da tempo si sapeva che Farinacci , uno dei più duri Ras del Fascismo emiliano, su diretta indicazione del Duce in persona, scalpitava, voleva procedere alla “Spedizione Punitiva”: ma Italo Balbo, un altro dei caporioni mussoliniani, in odore di eroe militare, e un po’ più intelligente di lui, lo tratteneva: “Se farla, doveva essere fatta per bene, cribbio!, chiamando il fior fiore dei militanti attivi: i più decisi e combattivi, perché con quei Rossi lì si scherza mica….va preparata con cura!” “Ma che! Hai paura di sti quattro bifolchi di provincia! Andiamo lì casa per casa, sganasciamo quelle testacce! L’imbottiamo di botte e di olio, li ripassiamo tutti: senza dimenticarci delle loro donne…. Che potranno vedere chi sono i veri uomini…” e così dicendo Farinacci si guardava intorno sghignazzando, sicuro di raccordarsi agli istinti e agli atteggiamenti dei camerati; che infatti ridevano ingaglioffiti, sicuri com’erano dell’impunità e della riuscita. In tutte le “Spedizioni Patriottiche” fatte fino a quel momento: nemmeno l’ombra di Carabinieri o di Pubblica Sicurezza. Anzi: le denuncie erano scattate contro chi si era opposto a loro. Si, avevano sentito di questi sedicenti “Arditi del Popolo”, ma gli unici che erano stati facenti parte degli originali “Arditi del Genio”, della Fanteria, o che dicevano, in verità, molto sospettamente, di essere sopravvissuti alle azioni degli Arditi sul Fronte della Bainsizza nel ‘17, a fermare gli austriaci invasori a Caporetto, stavano in mezzo a loro. E questi erano i primi a riderne, con quell’aria di eroi da salotto, “feroce” solo con le belle tose, cui raccontavano storie di ardimenti, che incantavano quelle belle signorine dall’aria ingenua e romantica; ma erano. vicende dai contorni spesso confusi. Aria di “Eroi di Guerra” che però indossavano con compresa aderenza ai Comizi del Partito Fascista. Io, Gino Gazzola, sono qui a testimoniare i fatti del passati. Essi mi appartengono anche ora che non sono più tra voi: avevo 14 anni, da poco compiuti, ed ero di vedetta sulla Via del corso principale, quando li vidi arrivare: erano migliaia, tutti vestiti di nero: fui colpito a morte da subito, ma ho visto tutto in questa nuova condizione. Procedevano scompostamente cantando a squarciagola canzonacce contro i rossi e clericali: ma cantavano per darsi coraggio. Erano sconcertati dal silenzio. Un silenzio che non avevano mai sentito nelle loro scorribande, perché le donne isterizzate dalla paura, incominciavano a gridare per spingere i loro uomini a fuggire: e vedevano come il correre dei topi in un cortile dove non avevano scampo. Ora non era così. C’era la luna in cielo e tutto sembrava come immerso in una languida quiete irreale: era un’atmosfera che incuteva timore. A un certo punto le luci della strada si spengono e in fondo si sentono delle detonazioni: poche ma che prendono nel mucchio: cadono alcuni fascisti. La sorpresa e la rabbia è pari allo sconcerto: si grida, ci si accavalca in disordine; alcuni vorrebbero fuggire; incominciano a perdere compattezza nei ranghi: i Capimanipolo hanno un bel da fare per ricompattare le righe. Qualcuno si rende conto che l’”eroe”Balbo, il futuro Navigatore dell’Oceano, visibilmente impallidito, si reca correndo nelle retrovie (“per meglio dirigere la controffensiva”, dirà poi…). A questo punto scatta l’assalto del resto della truppa Nera, che obbedisce ad un disegno strategico-militare studiato a tavolino con la collaborazione dei due Generali di Brigata della zona del Regio Esercito Agostini e Sacco: viene dato il comando a tutte le squadre nei vari punti della città per convergere sull’Oltretorrente , la zona rossa dove erano i quartieri operai e popolari. Ed erano questi i Militi che Picelli e il suo Stato Maggiore aspettavano: non quella iniziale canaglia di scalmanati , ma questi scelti combattenti di formazione militare, che si muovevano inquadrati e organizzati. Quelli erano i nemici da affrontare: scattano le barricate. Ogni via d’accesso è impedita: solo pochi alla volta possono entrare nelle vie; ogni disparità militare scompare, perché i fascisti sono bersagliati da tutte le parti, in modi ordinati e costanti: da dove meno te li aspetti escono gente armata che li dà addosso. La “truppa” è fatta da tutti: donne, uomini, vecchi e bambini; giovani e anche ragazzi come me. Si ritirano e ritornano: lo fanno per ben 5 giorni; e anche se ricevono rinforzi, arrivando fino a 10mila, non riescono a tenere il controllo della città e delle sue vie d’accesso. I “nemici” sono imprendibili: vengono correndo all’improvviso, sparano, attaccano e subito scompaiono nei vicoli attorno alle piazze. Picelli aveva messo insieme tutti i partiti politici che non volevano il fascismo : Comunisti e Popolari, perfino qualche Monarchico che non era d’accordo col Re. La vittoria fu totale: i Fascisti lasciarono 39 caduti sul campo: non era mai avvenuta una cosa del genere. Ma Picelli diceva che se non facevano come a Parma, cioè unire tutto il popolo, il Fascismo avrebbe vinto lo stesso. Anzi i suoi peggiori nemici furono proprio tra quelli della sinistra. Solo Gramsci lo capiva e lo sosteneva: ma molti del PCd’I erano contrari e fu la CEKA stalinista a ucciderlo a tradimento il 5 gennaio 37° a San Cristobal (Madrid), in Spagna durante la guerra antifranchista.
Oggi nel 2012, a novant’anni dalla vittoria di Parma, lo ricordiamo con onore e ammirazione.
Francesco “Ciccio” Capozzi